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lirik lagu ottorino respighi – il tramonto

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già v’ebbe un uomo, nel cui tenue spirto
(qual luce e vento in delicata nube
che ardente ciel di mezzo~giorno stempri)
la morte e il genio contendeano. oh! quanta tenera gioia
che gli fè il respiro venir meno
(così dell’aura estiva l’ansia talvolta)
quando la sua dama, che allor solo con0bbe l’abbandono
pieno e il concorde palpitar di due creature che s’amano
egli addusse pei sentieri d’un campo
ad oriеnte da una foresta biancheggiantе ombrato
ed a ponente discoverto al cielo!
ora è sommerso il sole; ma linee d’oro
pendon sovra le cineree nubi
sul verde piano sui tremanti fiori
sui grigi globi dell’ antico smirnio
e i neri boschi avvolgono
del vespro mescolandosi alle ombre
lenta sorge ad oriente
l’infocata luna tra i folti rami delle piante cupe:
brillan sul capo languide le stelle
e il giovine sussura: “non è strano?
io mai non vidi il sorgere del sole
o isabella. domani a contemplarlo verremo insieme.”
il giovin e la dama giacquer tra il sonno e il dolce amor
congiunti ne la notte: al mattin
gelido e morto ella trovò l’amante
oh! nessun creda che, vibrando tal colpo
fu il signore misericorde
non morì la dama, né folle diventò:
anno per anno visse ancora
ma io penso che la queta sua pazienza, e i trepidi sorrisi
e il non morir… ma vivere a custodia del vecchio padre
(se è follia dal mondo dissimigliare)
fossero follia. era, null’altro che a vederla
come leggere un canto da ingegnoso bardo
intessuto a piegar gelidi cuori in un dolor pensoso
neri gli occhi ma non fulgidi più;
consunte quasi le ciglia dalle lagrime;
le labbra e le gote parevan cose morte tanto eran bianche;
ed esili le mani e per le erranti vene e le giunture rossa
del giorno trasparia la luce
la nuda tomba, che il tuo fral racchiude
cui notte e giorno un’ombra tormentata abita
è quanto di te resta, o cara creatura perduta!

“ho tal retaggio, che la terra non dà:
calma e silenzio, senza peccato e senza passione
sia che i morti ritrovino (non mai il sonno!) ma il riposo
imperturbati quali appaion
o vivano, o d’amore nel mar profondo scendano;
oh! che il mio epitaffio, che il tuo sia: pace!”
questo dalle sue labbra l’unico lamento


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