lirik lagu xvi religion - cradle's five moments
[testo di “cradle’s five moments”]
[strofa 1: benni]
e quando ce ne andremo lasceremo un testo, il resto sarà scritto
dentro agli occhi come una conferma, un faro sulla terraferma
maledetta sia quest’isola che stritola i pensieri
quando speri in braccia forti a proteggere i cieli
siamo frammenti in queste vite di schegge impazzite
nascondiamo sotto questa pelle le stesse ferite
e a te cos’è che ti divora? cos’è che in te dimora
io non so spiegarlo ancora, questa è la mia storia
so solo che ho vissuto mille vite e questo rimo
ed essere felice di continuo fin dal giorno primo
in faccia ho un sole che mi acceca senza tregua
un vento che mi graffia il viso, nella mente un posto in paradiso
e queste notti sono lunghe, lunghe, impari
ad amarle in uno scontro alla pari
ho un biglietto per l’interno con due auricolari
d’impossibili paesaggi e pensieri immortali
e quando senti la mia voce sembra un grido d’aiuto
puoi sentirlo dalle casse in ogni nostro minuto
forse il tempo le cancella molte cose ma non tutto
perché è così per tutti, è così dappertutto
e quando ce ne andremo lasceremo un testo, il resto sarà scritto
dentro come una conferma, un faro sulla terraferma
io di sicuro sanguinante c’avrò il cuore in mano
ti dirò: “tieni, te lo regalo”
[strofa 2: john princekin]
è troppo facile per noi al margine
che siamo solo poche sagome venute mosse nell’immagine
vedersi e poi capirsi
aprirsi e poi stupirsi
io che ho dato tutto dappertutto
rimasto solo dentro il tritatutto, ne esco distrutto
ma passa tutto, no? no
sono solo lame nella carne, le lame di un tritacarne
cosa vuoi che sia, il sangue cola dalla pelle mia
e sale verso l’alto sulla paratia, calmo in caffetteria
immerso nel verde dello schermo che trasmette il cielo in avaria
avvolto dalla quotidianità che cambia piani
ed è una forza forte, curva legami come origami, attento
che se non vivi una persona muta in polvere nel tunnel del tempo
e tutto diventa niente, tutto buio
io ho il deserto nella mente mentre studio
e tutta questa gente non mi dice niente
non sento la corrente, oltre gli occhi hanno le luci spente
e guardo il sole grande salire su
poi scrivo qualche cosa e non ci penso più
dimenticato più di prima, sdraiato sopra la collina
stappo una birra in lattina
[testo di “sirius”]
[strofa 1: john princekin]
aveva 12 anni nell’86
quando il padre tornò a casa con un cucciolo sul palmo
aveva pianto tanto, sentendo in lontananza due colleghi
che scherzavano sopra suo figlio strambo
ma gli umani sono umani, no? parlano a sproposito
sputano su quello che non toccano
il bambino chiese: “è mio?” cortese
il padre disse: “sì”, lo prese e glielo distese sulle gambe tese
da quel giorno inseparabili
non ci fu più un solo pomeriggio che restasse a casa
erano insieme quando il sole sbiadiva gli abiti
erano insieme quando l’acqua sbatteva sopra l’erba rasa
stesi nella sua stanza
mentre in radio si parlava dell’effetto dell’esplosione a distanza
entrambi sopra il letto piccini
mentre contavano le stelle sopra il tetto dei vicini
“conto uno, conto due, conto tre ed ora tocca a te”
e il cane lo guardava fisso
“conto uno, conto due, conto tre ed ora tocca a te”
e il cane disse: “ti capisco”
[strofa 2: john princekin]
sono i ricordi di un’estate come tante
aggiungici un amico per essere in due a sognare
metti che ‘sto amico è un amico che ha quattro zappe
e quando gli chiedi qualcosa pure sa parlare
seduti vicino al fiume persi in lunghe chiacchierate
a guardare il galleggiante mente danza nelle acque turbinate
mentre le stagioni si sopiscono gli anni passano
i bisogni si infittiscono e cambiano
il richiamo della luna si fece sentire
fra le crepe nelle mura del fienile
e il cane non poté dormire
il profumo della vita è un passeggero del vento in viaggio dalle colline
entrò in camera del bimbo ormai ragazzo in fioritura
e gli lasciò uno stampo della dentatura sopra la cintura
perché spiegare quell’addio parte della sua natura
gli faceva un sacco di paura
[strofa 3: john princekin]
a forza di scrollarsi di dosso le foglie gli alberi crescono
si prendono tutto il cielo che riescono
un uomo distinto seduto al parco fuma lento
fissa il prato mentre s’accarezza il mento
e chissà a cosa pensa
con i piedi cancellati dall’alzarsi di una nebbia densa
chissà a cosa pensa
mentre ruota un piccolo sorriso nella faccia immensa
fra i colori dell’autunno la notte incombe
il cielo perforato dalle prime stelle all’orizzonte
notte ispiratrice, con un tono sereno e felice
l’uomo si curva verso le stelle e dice:
“conto uno, conto due, conto tre ed ora tocca a te”
e il buio lo guardava fisso
“conto uno, conto due, conto tre ed ora tocca a te”
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