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lirik lagu uochi toki - venti centesimi di tappi per le orecchie

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un condominio, datato ’60, ’70 forse, nelle adiacenze di bergamo, una struttura nata per disperdere calore, uno sprecaio di risorse in grado di far sì che tutti gli abitanti sentano anche il più flebile rumore, finiture scelte da un geometra che lavora per lavoro, che ha ritenuto lo spendere meno la soluzione più economica. appartamenti progettati per dare una stanza, una cucina e un bagno a chi lavora con parametri e misure che difficilmente daranno percezione comoda. voglia di p-ssare tempo in casa, cura per i temporaneamente propri ambienti

e dentro ad un cubicolo di questi troviamo andrea e il suo coinquilino, entrambi in quell’enorme limbo di categoria, intersezione tra disoccupati, lavoratori e studenti, un output personale mite, corredato di innumerevoli interessi: si p-ssa dai dischi agli insetti, dallo stampare serigrafico all’organizzar concerti. anche se, lo ricordiamo: descrivere persone per punti in un elenco usando elenchi creati solo allo scopo di puntualizzare serve giusto a sp-ss-rs-la nell’era della comunicazione e non permette poli nelle ere che verranno

e andrea ci ospita in appartamento, pernottiamo in tre dopo il concerto svolto nella città del sopra e sotto nota per il caratteristico dialetto, entriamo in casa di soppiatto in un silenzio che fa invidia a quello religioso ma che non è dio a spingerci a tenere: sono i vicini, spiega il nostro ospite, ipersensibili alle chiacchiere di notte, ai rumori di chiusura delle porte sotto le quali lasciano biglietti anonimi
nell’ingresso, attaccati allo specchio: un epistolario, una compilation di pizzini, una decina di cartigli intensi trasformano in letteratura l’ossessione dei vicini. andrea ci spiega che hanno provato a stare accorti e che non serve, il condominio di notte è insonne e dorme sempre a orecchie aperte, che si tratti di paura e non fastidio lo dimostra l’anonimato dei biglietti, altrimenti i condomini si presenterebbero di persona senza questo buffo abuso degli artifici retorici, senza parlare di diritti e vivere civile, argomenti tanto legittimi quanto iconici

e questa minima pressione abitativa vissuta da terzi mi affligge ben oltre dei quant-tativi logici, perché non riesco a vedere quel film di polanski per intero, perché non sopporto chi con la scusa dei diritti abusa dei codici. andrea ci dice che comunque un elemento di rottura c’è stato, delle ragazze slave trasferitesi in un appartamento accanto le quali ricevendo un biglietto anonimo ugualmente architettato, ed impugnandolo hanno bussato ad ogni porta per rintracciarne l’autore per comunicargli con sguardo freddo e crudo che stava esagerando. il comportamento dei vicini come altri fenomeni più o meno -n-loghi è una delle cause che in me creano la pressione, l’ansia e il rodermi, solo che per questo io non sp-cco le automobili, non tiro fuori rabbia in piazza, a tavola, in faccia, è una pratica che mi affatica ma che non mi sfoga perché per me non c’è una quant-tà che se raggiunta mi fa dire “adesso basta”, io funziono come il suolo od il pianeta terra: con il dovuto tempo riesco a degradare, ad -ssorbire tutto, anche la radioattività, il problema è l’impazienza degli esseri che mi abitano addosso, che non accettano la morte prima dell’indefinito termine di una loro attività
in questo periodo di vicinato così inquinato e velenoso da non farsi bastare venti centesimi di tappi per le orecchie non guasterebbe un aumento delle intersezioni tra sistemi umani chiusi che voi chiamate in modo antico “immigrazione”


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