lirik lagu uochi toki - talento e merito tradotti in inglese diventano altre cose
[verse 1: napo]
e sono dentro al club
il b-ttafuori del locale con il compito di sorvegliare si
si precipita a guardare il tavolino a bordo pista sul
sul quale io e una mia collega stavamo disegnando, ci facevamo un personal di visuals sul dj set di luke vibert. il b-ttafuori che pensava di scoprire noi dietro a delle strisce tuttavia sorrise nel vedere che era solo inchiostro, lui alla fine è un pacioccone, noi dall’inizio fuori contesto, ma per questo ancora più dentro. il disegno è un linguaggio -n-logo al parlare, va sottoposto al giogo del talento, e vi ricordo che molte volte sono il segno e la parola che creano i contesti ed i momenti giusti, non il contrario, anche se sembra strano sentire qualcuno che parla quando la musica è alta ed una persona che disegna in un locale è meno normale e più improbabile di un cocainico. le persone che disegnano in un certo modo smettono di disegnare quando vengono occupate da alcune droghe o quando vengono distratte o quando stanno poco bene; quando poi escono da questa condizione statica automaticamente ricominciano una produzione fluente di disegni giornialieri in quant-tà pantagrueliche: disegni di una ricchezza mai vista prima. alcuni escono da quelle trappole che si etero o si autocostruiscono senza bisogno di dottrina, no, non è uno sfogo come dice il tuo psicologo interiore: è una scoperta, è una piccola parte di universo che fluisce sulla carta da una penna e io potrei anche fare del disegno il mio mestiere, ma che cosa poi farei pagare a dei clienti? potrei fare delle mostre e vendere i miei quadri, ma il valore di un disegno è quello che mi fa vedere o che fa vedere a te che vedi, come lo quantifico? e poi saranno fatti tuoi di ciò che vedi, faccio pagare giusto la carta su cui stampo e poco altro. il fatto che sia io che un ill-stratore entrambi produciamo elaborati disegnati non significa che facciamo la stessa cosa: io non vendo ciò che non so cosa sia, ossia il talento. il talento. fare le rime, fare rime. dai, magari salto qualche rima per spiegarmi meglio, però in questo disco di rime ne ho messe, quindi la scusa che non è rap perché non ci sono rime stavolta salta, tocca trovarne un’altra, quindi perché non è rap questo? cosa non so fare io perché qualcuno si decida a non accludermi a una categoria nella quale essere o non essere accluso mi fa differenza solo a livello di gag? risposta retorica: niente. posso fare ed imparare tutto, quando voglio, un mc fa finta di ascoltarmi e poi mi dice: “hey cazzo, non vai a tempo, una sola cosa devi fare, solo una: andare – a – tempo!” ecco, è tempo che si sappia che il tempo non è sabbia, ma si sposta come seppia in acqua con una volontà che non capisci con velocità, perché lo stile – il tuo stile – è una gabbia e tu, gabbiano, abbai come un alano alla catena se un randagio p-ssa adagio adagio dal cancello, ricordando che non è il tuo territorio: si tratta della tua galera. trovati una batteria e no, non impara, semplicemente suona; io vado a tempo ed il mio tempo varia mentre al rap in una cella a 4/4 è sufficiente un’ora d’aria in cui si giocano gli sport di squadra: pallavolo, oppallalai, iaaaa lalala-lala obbiezione di incoscienza come morgendorffer daria; e cosa c’è dentro ‘sta scatola? c’è la voglia di tendere al modello, di essere un modello, dell’aver capacità di dire ad altri “no, non quello, quel modello!”. il tendere a raggiungere il perfetto dei pittori di botteghe nel rinascimento, il talento è l’-ssomigliare e riprodurre il bello cambiandogli l’accento? cosicché chi non ha quel dono possa -ssimilare e disporre qualità di un altro come fosse arreda-mento per un apparta-mento? a parte che chi non ha talento non potrebbe riconoscerlo perché non ne ha, ma questa è logica e non mi piace troppo, come non piace ai fruitori di talenti altrui mangiare cibo che non gli sia già stato cotto: e se si mostr-sse un talento crudo e sporco che non fosse sottoposto a quel proposito, ma che sottoponesse ogni proposito alla visione del multi-causa e del valore composito? eh? che cosa ho detto? ho detto che io non devo tutto al mio talento, al m-ssimo a me stesso e neanche questo; il fatto che io non devo, non devo niente, niente debiti, cos’è sta storia che anche l’azione del creare in disegno in oratoria venga sottoposto ad un ennesima recondita azione creditoria? il talento è ciò che forza ad un creare lento, ad un creare meno, e quello scoglio a cui si appiglia l’art director, il fruitorato, nell’impedirti la partenza per un viaggio nell’ignoto. il talento in me nasce e muore dentro nello spazio di un momento e si vuol differenziare fino allo sparire per non esser tale e quale a quel suono di campane che non sono mai due sole, ma si dice di dover sentire entrambe se si vuol capire, se lo volessi dire direi che il mio talento è uno sguardo, un incanto fisso su ciò che non si può capire, è un lago nero in cui ogni tanto emergono le salme dei talenti altrui, è un gorgo oscuro che non mostro perché se no mi chiameresti mostro perché rovinerebbe irrimediabilmente il tuo giochetto del talento, che io rispetto anche se non mi piace affatto. smettila di dire “genio” nella speranza che un qualche tale untuoso esca da una lampada e esaudisca un desiderio, tu commisura bene il desiderio e ti si accenderanno lampadine in testa che accecheranno il genio, che riscriveranno il nuncius sidereus, scoprirai l’arte del nunchaku come il processo siderurgico funereo, laverai i piatti e i piani di cottura con lo stesso intuito che spinge al settimo senso un cavaliere dello zodiaco
ripulirsi dal talento
le conferme fanno tornare indietro
non prerequisiti, solo quesiti
[verse 2: miike takeshi]
lunga vita alla vita, cos’è? chi lo sa? osar dire, ardire, serpentine nella concettualità, sofisma, ma che fisima! infinitesimo loco, ritrovo, loculo, ritornello nello spazio strafico-la la la la la. meriti una punizione figlio! ma mamma, la maestra ha detto che il merito è bello e la punizione no ed io so distinguere ciò che è bello e ciò che è bello no, non è che… boh. esangue sul pavimento il cervello trottava sulle piastrelle con sentimento, il padre morendo dentro, come se ci fosse un fuori… si schermì il volto ridendo, ritentò piangendo ma ripensando il tempo trascorso vivendo la vita avvilita nel suo compendio rise e derise le lise categorie ora, recise ed uccise e decise per antinomie, una morte era ben fatto! una vita, cazzo fai? se noti l’interpunzione sai non si vuole interpolazione tra i significati mai ma ormai le orme che ha mai ha mai di strati stratificati. la sala vuota, il cadavere, il figlio, il padre, il figlio-ricami dalla gola in esilio, esizio estrinseco ve relazione relatore, relatore di interrelazioni in nome posta giaciglio, giacquero nel medesimo talamo colpe e merito supini a consumazione ultimata il pasto famelico in data da destinarsi può darsi si avrà di che crogiolarsi arsi arsi arsi arsi
[…]
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