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lirik lagu uochi toki - in da club

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e siamo dentro, ci stiamo troppo dentro: siamo un manipolo di gonzi che niente c’entrano con gli splendidi che qua dentro si divertono. facciamo quelli che presenziano, e basta questo a fare in modo che tutti quanti si accorgano che all’ingresso gli organi di controllo mancano. b-ttiamo un occhio alla struttura: un pregevole esempio di architettura, un cross-over tra neverland e la bruttura edilizia tipica della cultura di m-ssa degli anni ’90, che finirà inutilizzata e poi squattata come lo zk ad ostia. le pareti sembrano fatte di marzapane o di ostia. le rifiniture sono la parte preziosa esposta (money money money), giustificano il fatto che l’ingresso qui dentro costa. è il club grosso, dove si trova la gente giusta e che conta: gente che si devasta con cl-sse e che ti devasta le case
ed eccoci qua: siamo in sette, con le nostre scarpe di cl-sse, le nostre giacche di cl-sse, i pantaloni che mettevamo in cl-sse. la pista è piena di ragazze che si notano a distanza come delle svastiche e che impressionano le persone spastiche che non possiedono svanziche. abbiamo gli zaini pieni di tattiche. forza ragazzi: sparpagliamoci! facciamo più danni sociali possibili, rendiamoci riconoscibili. dai nostri zaini spuntano alcolici, cavi elettrici, testi borbonici, amori platonici, microfoni olofonici, gli occhiali con le molle ed un fischietto da arbitro. pol e gigi fischiano mentre ballano, s’ingranano non di c-cktails ma di vermouth carpano. mentre i due lele ed il fele intrattengono l’avventore medio con storie di mitiche grappe fatte in casa che sanno di legno, le fighe di legno provano sdegno, svengono come le demoiselles nel ’700 stritolate dal corsetto. presto: la respirazione bocca a bocca!
ed ecco che scatta il contenzioso. il barista iroso si accorge che viene introdotto e diffuso nel locale dell’alcool in modo abusivo. diventa sospettoso. mentre riccardo si avvicina curioso alla console e si accorge che lui e il dj si conoscono, condividono quindi i segreti da fonico e… ed io non so che minchia fare, riesco solo a p-sseggiare in modo instabile per il locale. quand’ecco che trovo un corridoio nuovo che odora di cloro: lo percorro curioso con il p-sso frettoloso, brioso come dawson, scrupoloso come mason, masturbativo come… cristo, ma qui c’è anche una piscina! gente mezza nuda e vicina. qualcuno limona, qualcuno tira una palla, qualcuno tira la cocaina. molto bene. mi guardo in giro con attenzione: ragazze che serviranno a qualche proiezione nella mia immagin-z-one per le future seghe. mi sento un genio del male, risata interna, l’ebrezza sale, sono elegante come un operaio del sale, ma vale la pena tentare: “ciao ragazza, tra i miei fans c’è caparezza. ti andrebbe di fare la sost-tuta della mia mano destra per fare un’ottima minestra? compro nei supermercati dove c’è convenienza. sono l’alternativa non richiesta al rap gangsta ed è la prima volta che faccio uso della mia presunta influenza per impressionare una donzella mai conosciuta né vista.” la ragazza mi fa capire chiaramente che se non offro da bere o droghe posso andare a fare il coglione altrove. d’altronde cosa posso pretendere io che mi soffio il naso nelle mie maniche, ed ho tutta una serie di caratteristiche che non ti sto a spiegare? perché siamo nel locale, la musica è alta, gli altri della banda si divertono uno sproposito, io mi siedo in un angolo e rosico perché come al solito gli altri si divertono con poco ed io ci provo a fare come loro, ma quando le situazioni sono già scritte dentro il grande libro delle situazioni io mi rompo i coglioni, cazzo! vado in bagno, perché l’odore di merda mi ricorda che alla fine la gente qui dentro è umana

nel club, nel bagno del club, ragazzi e ragazze tatuate, ferraglie a palate incastrate nelle cartilagini bucherellate conferiscono ed indicano diversa estrazione sociale. gente diversa, ma che si droga uguale. l’unica cosa che non si droga qui è il rubinetto (bella rubinetto!): funziona perfettamente. il miscelatore si adatta immediatamente alle mie esigenze di tiepidità. mi lavo la faccia per fare qualcosa, appoggio una mano allo specchio, sento freddo e questo mi gasa. adesso basta. rompo i coglioni agli altri finché non torniamo a casa, perché sono un guastafeste. muovo le scarpe, ripercorro a ritroso le situazioni incontrate, le persone tatuate piegate in due stramazzano o dormono mentre i disegni che hanno addosso reclamano il significato perduto. la ragazza in costume che ho interpellato piange sul divano perché ha bisogno di qualcosa di più umano di una polvere o di un distillato, chi limonava o si strusciava se n’è andato: probabilmente stanno tutti sborrando o sbadigliando contemporaneamente, sicuramente uno dei due non si diverte. le ragazze settecentesche invece discutono animatamente sulle successive mete, scontente e scontatamente attaccate ad un maschio definito dominante più per cultura di m-ssa che per oggettivo valore. il fele ed i lele sono già fuori dal locale sul furgone a cazzeggiare, mentre riccardo finisce di parlare con il padrone in merito ad un finale da rilevare. anche pol e gigi se ne vogliono andare, hanno perso il fischietto e ci accordiamo per trovare da mangiare mentre il barista mi guarda male perché avrei dovuto consumare. mentre esco dalla porta – princ-p-le, stavolta – trovo per terra una banconota. basta poco a farmi contento: dio porco, venti euro! bella raga, kebab per tutti!


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