lirik lagu uochi toki - guazzabuglio 2036
guazzabuglio 2036 lyrics
la tempesta solare del febbraio 2021 è stata 15 anni fa, un’onda elettromagnetica fuori scala che ha distrutto ogni circuito elettronico ed internet ci ha salutati come gli hard disk, i servers con tutti i dati in loro contenuti. dopo due anni è iniziato il grande rebuild online ma nessuno sapeva più come si fanno le cose dato che la grande università del web era stata cancellata e nemmeno la big data recovery bastava. tuttavia la razza umana era sopravvissuta ed io ne ho approfittato comе neofita di un mercato che non si rеgge in piedi perché il sole non vuole più. ho costruito un ristorante, un ristorante che ho chiamato guazzabuglio medievale, il cui principio base è che non essendoci più recensioni, non essendoci più archivi detentori di saperi culinari, non essendoci più dittatori metodologici, narratori di paesaggi gastronomici bloccati nel limbo nella legittimazione, non essendoci più un esercito di difensori dei piatti tipici confusi coi piatti tradizionali, praticamente tu ti siedi e mangi senza troppi cerimoniali, niente banchetti di compleanno, niente banchetti matrimoniali, niente feste per occasioni speciali, niente pranzi di lavoro: si viene al guazzabuglio per mangiare, senza il menu scritto, ti si dice tutto a voce. niente camerieri, ti servi da solo e poi ti lavi da solo il piatto. lunghi tavoli in castagno, panche comuni, gomito a gomito con gli estranei, faccia a faccia con gli stranieri. siamo sempre pieni, non esiste prenotare, non si serve vino, birra, solo tè ed acqua naturale. chi non ha nessuna delle 18 valute correnti per pagare riceve una mansione che raddoppia il suo appetito. l’economia di questa impresa è imperniata sul fatto che io già cucino per una famiglia mista intera e quel che servo è surplus, eccedenza, e da quando la ricetta della carbonara è persa posso farla senza che nessuno si ricordi di dover imputarsi se non metterci il guanciale perché si trova solo la pancetta
gli organismi di difesa di eccellenza e tradizione sono stati i primi a scomparire, hanno fatto spazio ai germogli come gli alberi più antichi dopo incendi estivi non dolosi. che poi la carbonara non la faccio mai perché le uova hanno mille applicazioni e destinarne così tante a un primo piatto non bilancia quell’impegno mestruale di gallina giornaliero. e la migliore carbonara me l’ha fatta un cuoco svizzero che di certo non intende “la migliore” come quella che rispecchia un certo gusto che non era negli archivi nemmeno quando gli archivi c’erano, quando gli umani non ricordavano perché distratti catalogavano con il supporto di un supporto elettronico anche ciò che macchine non intendevano. e adesso io rido e cucino lontano dall’egemonia dei mastri cuochi da schermo che gridano e tramano, preparo piatti che si diramano, che puoi pagare in dirham o no, e quel che è chiaro come il rame è che l’intransigente impenitente da me muore di fame, faccio il pesto senza parmigiano, con i semi oleosi che trovo e le foglie verdi che voglio e non lo chiamo pesto e forse l’olio se non lo produco non ce lo metto. e se siamo in agosto bene, mentre a marzo simulo il sugo di pomodoro lessando carote e barbabietole, frullandole insieme, una punta di sale, una punta di aceto e ti presento il mio sugo mediterraneo sotterraneo
e la mia pastiera napoletana è diversa: è la pastiera napo, con il riso integrale al posto del grano cotto nel barattolo e senza acqua di fiori d’arancio, e condisco i pizzoccheri con sgombro a pezzettini, richiamo [?] a valtellina, non friggo mai le melanzane, io le piastro. non sono tua nonna che per farti grasso riduce i fornelli ad un impiastro, e fritta è buona pure la ciabatta e chi frigge spesso [?] ha la nausea perché respira boccate di acroleina e allora friggiamo di rado, non rompiamo i legami dell’olio che è così buono crudo o comunque lontano dal bruciarsi, e quindi le ciabatte te le mangi lesse e la carne quando c’è, perché a sezionare gli animali morti tutti i giorni il gusto si nasconde, qui si serve solo carne uccisa con le nostre mani, quindi solo quando siamo davvero in vena di vedere il sangue e sentire bestie che si agitano e muoiono tra le nostre mani e dato che non siamo automi e adesso il mercato è fluido come il genere, non abbiamo obblighi di nessun genere: il cliente ha sempre torto e noi cuociamo verdure sotto cenere, olive sotto sale, un sacco di erbe amare, lasciamo crescere i vitelli, non scialacquiamo le risorse per servire carni tenere che non hanno camminato, il sapore di slavato è un ricordo del passato quando andavi al supermercato o quando dovevi sostenere pesantissime questioni di principio per non andarci e in entrambi i casi dovevi rapportarti un certo modo di comprare
al guazzabuglio io ti faccio il risotto a pressione integrale, senza mescolare, senza brodo, senza burro, mantecato nel suo amido, calcolando proporzioni prima di chiudere il coperchio e con solo acqua, sale e le verdure che trovo dentro all’orto e poi ti servo un onigiri con il riso a 37 gradi, [?] a rettangoli, salse varie, frutta e verdure cotte, filetti di pesce, ed il sushi te lo rolli come vuoi, da solo, nel tuo piatto. per gli avventori già mi sbatto abbastanza, lasagne col kimchi e una sezione di cibi da malati fatta di brodi vari rinforzanti e saporiti, centrifugati di cetriolo, sale, limone e mate a chi lavora o cammina sotto il sole e piade più pane più pita più torta al testo più seven più farinata più panificazione non lievitata e crepes di semi di lino, di farina di ceci, di saraceno e se mi stufo chiudo e vado in giro a studiare altri cibi un mese intero, appendo le ricette fuori senza segreti come giro
e prova a rifare i miei piatti, sono facili sempre soprattutto da quando i legami con la tradizione vengono vissuti elasticamente e il rituale del mangiare è cucito sulla necessità, ascoltati di un corpo singolo non come quando il sapere collettivo pressava l’individuo a riconoscersi in quel modello di essere umano su cui tra l’altro nessuno era mai d’accordo e adesso sono così abituato a fare come voglio che raggiunto questo ritmo e questo scorrere di cibo e piatti che mi soddisfano, quasi quasi cambio idea, chiudo il ristorante e scopro cosa potrebbe farmi andare ancora avanti
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