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lirik lagu uochi toki - cambia domanda

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temo più della morte il generatore automatico di domande comuni che mi usano alcuni, mi chiedono “quale è il messaggio finale, il nucleo centrale dei concetti che tu vuoi passare?” che vuoi che risponda ad una domanda da tema di terza della tua maestra dove ogni risposta è giusta e sbagliata? rispondo cassata granita merenda, fai un’altra domanda che a questa rispondono già dei pezzi che scrivo. “perché è così schivo? perché tu rispondi evasivo?” sei tu che domandi impreciso ed è difficile starti vicino, еd io non accetto domande che non ti coinvolgono, impеrsonali, non stiamo facendo concorsi statali, non voglio domande che imboccano già le risposte, come fanno i giornali. “non ti sembra altezzoso volere domande?” non sono altezzoso, solo mi aspetto troppo dall’essere umano, però non funziona e l’aspettativa mi cade di dosso per i troppi attrezzi che porto e per aprire la porta uso un ginocchio. mi cadono il secchio, l’avvitatore, un bastone di leccio. “perché non rispondi diretto? usi metafore, non ti comprendo!” la metafora è il modo diretto per darti un’immagine uguale a quello che vedo, all’odore che sento. sei un generatore automatico ma percepisco l’intento al punto di colui che ti ha scritto. “perché, tu credi che dietro l’istinto ci sia complottismo?” e uffa… non sembri un programma, sembri una mamma che non sopporta quando suo figlio torna da scuola e sbatte la porta, e allora lei urla senza capire che deve capire che la lontananza fa parte di fisiologie. poi tu glielo spieghi, lei dice “ho capito” ma urla lo stesso, diventa suo figlio ed io sono stanco di dirlo. “e allora rispondi, come ti senti ad essere padre?” rispondo: mi sento nella stessa maniera che è essere figlio, mi sento normale, poi bene, poi male, un giorno qualsiasi che non esiste. mi chiedo più spesso: mio figlio come si sente? smantello dei transfert, gli racconto le storie di batman ed alfred. “e quindi è questo l’amore per te?” non dire parole, robota, che non conosci. ci sono parole che per arrivarci ti tocca b~ttare via le parole, ci sono le cose. “e allora dei baci cosa mi dici? com’è stato il tuo primo?” un freddo gennaio, un continuo chiedersi “sta succedendo?”, due lingue si toccano e rimane freddo e non era niente, solo simbolico, e non era niente. io mi emozionavo a vederla spuntare nel corridoio, non era un contatto ma una presenza, era cercarla e trovarla, la gamma di sensazioni è molto più vasta della tendenza di una risposta ad una domanda. e questa leggenda del primo bacio importante asfalta qualsiasi altra esperienza. e questo spostamento di importanza è stato difficilissimo da capire, ci sono voluti anni di revisione dei ricordi e metabolismo del sentiero passato. di fronte a queste stratificazioni le tue domande sono fiammiferi che cercano di dar fuoco alla roccia, robota scritto male. test di turing fallito


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