lirik lagu ultimo attuale corpo sonoro - quando gli amanti si perdono
dalla periferia delle preghiere e della tempesta
imparai prevaricazione e violenza
come da una culla
una genesi
un’esplosione stellare
densa di folgori e densa d’amore
a conficcarmisi nel microcosmo d’un’anima
oramai nitidamente da delitto
dal naufragio ero stato rigettato in questo mondo che bagnava nel sangue
e ora che camminavo, camminavo come sulle fiamme
camminai, gettando dal sole la mia ombra di peccato a battezzare la terra
per poi toccarla con palmi commossi, fu proprio in quei miei palmi che si sp-ccò la fede
perché infine non fu così difficile, nella disciplina della vita, lasciarsi andare
e non aggrapparsi, perdere ogni luce, non aggrapparsi, non aggrapparsi più
e cantai
e cantai…
e cantai del ciclo corruttivo che s’insinua negli amanti
e ne cantai il peso più grave, come una lama dal talento di sangue
e mancai
e mancai…
e mancai di pudore e cantai dei nostri cuori sfiniti, degli amplessi confusi
i cui riflessi ci investivano e si perdevano
si perdevano per minacciare i nostri corpi sfiniti
nel sapore della bocca, negli occhi di sale e nell’invito al tuo sesso criminale
brutalmente-brutale-vivo, vivo, in una lussuria febbrile da deserto e smunta dalla sete
nella bestia interna che pretendeva schiuma dalla saliva e sangue dalle nostre secrezioni
saliva, sangue e secrezioni come sole, miele e ambrosia
secrezioni che, cristo dio, avevamo benedetto
e cantai
e cantai…
e cantai di tutta quella nausea, di sentimento sospinto e sputato all’attesa
ed io come a svuotare sacche d’urina
e mancai
e mancai…
e mancai di pudore e cantai, sì ,dei nostri corpi nudi e sfiniti
ma realizzai che cantai anche del cielo più intenso e del mare più immenso
e tutto il mio p-ssato, scansando le stelle, si rivelò un rifiuto
e infine bestemmiai
ci facevamo quello che volevamo mentre io mi facevo di quello che volevo
e ne uscì l’immagine di un cosmo dove dio non avrebbe trovato ove piantare il chiodo del suo trono
bestemmiai e mancai di pudore e caddi, sì
ma nella periferia delle preghiere e della tempesta tornai cieco e limpido
come il fanciullo di fort alamo
smisi di contare i despoti caduti e i deposti regnanti
e il mio peccato s’elevò ad unicorno e irruppe al sole sino a farlo precipitare
e in fronte al mio sguardo, finalmente nuovo di prima luce
del cielo crollò la volta, come rabbia, a rincorrere e finalmente a illuminare
e il dolore non ebbe più dominio
e questo perché, benché gli amanti si perdano, l’amore sarà salvo
il dolore non ebbe più dominio perché, benché gli amanti perdano, l’amore sarà salvo
il dolore non ebbe più dominio perché, benché gli amanti si perdano, l’amore sarà salvo
il dolore non ebbe più dominio perché, benché gli amanti si perdano, l’amore sarà salvo
sfocando di fuoco in fiamma, il dolore può mutare in follia
la follia in paura e la paura felicemente in male…
solo di modo che, anche bruciando, l’unica parola a contare davvero sia “felicemente”
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