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lirik lagu pholas dactylus - ballata di un mercante di sogni

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lo avevo visto molte volte affacciarsi a quella loggia
di un castello bianco come la neve
dai riflessi color della torba
finestre piccole, strette, come ferite inferte dalle mani di un gigante
o dalle unghiate di un drago

lo avevo visto all’interno di un minuscolo mondo
in uno dei miei frequenti voli notturni
in un mondo fatto di case senza porte
e di porte senza case

lo avevo visto scrivere come io sto scrivendo ora
senza fare uso alcuno di inchiostro o di succo di mora
avrebbe scritto, come sempre fanno mercanti di sogni o semplicemente mercanti
una parte del mio destino, forse una parte anche del tuo

finito di scrivere si addormentava ogni volta
sereno, sicuro, serafico
sino al sorgere del suo quinto sole
o dell’ottava sua luna
così, come sempre fanno mercanti di sogni come lui
così, come sempre fa un qualsivoglia mercante come lui
qualunque sia la merce in questione:
vegetale, minerale, animale, umana, artistica…
merce

tsunami di stelle stanno a guardare
tre laghi verdi, spazi mai visti
spart-ti strappati sotto a un tappeto
lanterne spente fumano ancora
la ronda di notte che se ne va
la ronda di notte che se ne va
voli notturni, fiato dipinto
voli notturni sempre più in alto
monti, pianure, terre sconnesse
tutte le frecce scoccate dagli archi
piantate nel corpo di mille soldati
armi di suono, storie gridate
storie tatuate, scritte nel fango
la ronda di notte non tornerà
la ronda di notte non tornerà

sotto alla loggia è bello ballare
e vendere sogni di perle e conchiglie
sotto la loggia è bello danzare
e uccidere sogni senza morire

non è il vulcano nella testa divelta
abbandonata sulle rive della sacra mora
non è l’incipit, l’inizio di una storia morta
alcuni fogli di carta svolazzanti, accartocciati
divergenti, insorgenti
non è neppure per idea territorio di una memoria
un male oscuro, un male evidente
non è l’annaffiatoio che marca la terra
come fanno i gatti, come fanno i cani
non lo è, anche quando credi di vedere
di sentire, di toccare

lui era sempre lì, affacciato alla sua loggia
avvolto nel suo lungo mantello nero
trapunto da piccole e grandi mongolfiere grigie
mantello che scostava piano da sé
con una strana delicatezza
per poi nervosamente tendere la mano, anzi… gli artigli
e spegnere una lanterna di giada blu cobalto


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