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lirik lagu john faser - vacuità

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[testo di “vacuità”]

[intro]
john faser makaipagan
tripla dose sotto xanax vedo cose
le mie vene esplose ombre pietose in forma umana

[strofa]
ora vomito le stelle su pelle di capra smunta raggiunta la montagna sacra urla monta su kanthaka
un elefante bianco penetra nel grembo dal mio corpo che partorirò nel bosco sotto le luci del cosmo eterno
non pare vero
suppliche del cielo
il pensiero duttile crea nubi nell’ottuplice sentiero di ossa ruvide che sgremo
fumi del mio credo annego in fiumi prego rupi
seguo lupi al gelo ossuti e senza pelo
ammiro mentre il cosmo esamina
decapita il respiro
sradica l’anima dal tratto digestivo
sarò schivo se reprimo tutto quanto
mentre scrivo del suicidio che sto perpetrando
lascerò soltanto un manto grigio e il niente accanto
specchi di rugiada
protetti dai nāga e simbiontici insetti
reietti han perso la forma umana
nacqui con occhi vacui da laghi di magma
allevati dai bachi covati dall’alma
sotto fumi di ginepro brucerò per le montagne
spargo sopra le risaie il sangue della grande madre
fisso gli occhi delle capre intensamente fino a quando tutto quanto deperisce nella mente e poi finisce
non mi resta più niente
queste stelle narrano d’oriente di certe leggende sacre bende opache logorate dalle tempie
dammi pace lacerami il ventre mentre tutto tace attorno il giorno ci porterà luce e estate
ascesi verso il mokṣa stupra gotra discendenza ininterrotta
la mia flotta sputa gotta un’altra botta e vedo il tempo e la sua forma
specchi d’ossa tutto torna avverti l’ombra
il lutto il frutto della noia si conforma a paranoia
riti brahmani
bruciate i bambini dentro roghi sovraumani con i resti di animali
solchi cavi e pittoreschi bucano gli estranei affreschi sanguinari
gli occhi al cosmo seghettati tagliano scenari ignavi
venticinquemila lampade nel cielo segnano il sentiero
sangue sul mio velo cieco del mio credo
gli amuleti sangwa che possiedo emanano quel nero
crepo tra paludi d’ero mi sollevo un corpo alieno nel duodeno
spargerò farina d’orzo su ogni morto
traccia il cosmo da ogni osso che ho disposto a cerchio e poi scomposto a costo di riaverlo
non sto fermo mostro eterno
mostro il centro dello stormo
un corvo storpio sta ridendo dentro a un fosso
come posso dissuaderlo?
il mio cervello è decomposto sopra i giunchi degli stagni
dove fuggi e rifugiavi
sogni fulgidi rifulgi della luce che emanavi e poi piegavi come fulmini tra i rifiuti suburbani
ho incubi meccanici
stati dissociati a strati d’oli rancidi nei crani sottosviluppati
i miei parenti dilaniati dai lamenti e lacerati come angeli cadenti
dentro covi di serpenti attorcigliati
sotto fumi di ginepro brucerò per le campagne
spargo sopra le risaie il culto della grande madre
incido gli occhi delle capre interamente fino a quando tutto quanto regredisce finalmente e poi sparisce


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