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lirik lagu carlo corallo - scilla e cariddi

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[strofa1]

dal terreno
bagnato dal tirreno
barcaioli col corpo
lasciano il porto nel primo colpo di remo
la coltre, il suo velo corto di [?]
copr-no il vero solco, in vero sotto dormono a bordo molto di meno
ma bevono il doppio, un sorso di nero da un calice rotto
e per un goccio leccherebbero pure un coccio di vetro
ad ogni scorcio quel cielo
diventa rosso, il moto ondoso dopo poco ha già percosso
per il percorso di metro
si muovono a tratti lenti, a curve con reti rotte
oppure in rotte e sentieri corretti dalle correnti
con venti nel mare mosso e falle come torrenti
che fanno i commenti amen e poi le barche con venti
odisseo ne coprì i vertici e vispo, di anni tredici ritira già quei dentici avvolgendo i mulinelli
con gli stivali mimetici e il sale fisso tra i capelli
osservato dai fratelli che quasi stentano a crederci
soleva immergersi nel mercato
cresce in strada tra ogni tenda e scala, sedia e scatola
dove sopra ogni primizia fresca di giornata primeggia
la punta gigantesca sopra la testa del pesce spada
pescato a mò di esca per vendere ventresca
prima che la gente esca
e prima che la merce scada
lui piazzato la e coi cani un’altra festa in spiaggia
mentre squarcia un’altra pancia brandendo coltello e spatola
mira la scapola, tira lo spago
ma resta sempre la sagoma di una spigola a stritolare la sagola
e non la bestia avida e strana di fama è m-ssima
stanca di far man b-ssa di ogni carc-ssa e tracina

[strofa 2]

la m-ssa
segue la traccia che lascia
dalla plancia
porta alla barca verso le braccia dell’acqua placida
dicono una patina magica la protegga
e la sua potenza sia la causa di quando il mare si agita
in quei posti i bambini raccontano storie infantili ma buie
e descrivono due mostri marini
con grossi canini
indomiti carnivori
reincarn-z-oni sotto le imbarcazioni degli uomini cattivi
catturarli e portarli al focolare
avrebbe reso anche il fabbro locale più popolare dei cittadini
colorare d’oro dieci catini
d’incombenza per lasciare il lavoro e dimenticare le cicatrici
in quei giorni difficili, la crisi chiunque la respiri
è come l’aria estiva nel clima di una vita mai festiva
in una civiltà silente e anche restia
odisseo va via dalle residenze
resiliente a stare in stiva per l’abisso nello stretto di messina
dove la foschia che schiva si manifesta anche in ogni sua cresta e spira
quando la bestia muove la testa e dopo si arresta
vibra la terra ricca di campi di pesca e spiga
la canna da pesca nella sua mano la destra
e sfila del pane azzimo prima condito col latte d’asino
saltano sarpe e sarde intrecciate come le piante nel bricco lasci qui una briciola priva la prima primula[?]
neanche una creatura mistica
odisseo sferra calci sull’amico che ne imita la mimica
dicono abbia pinne come falci
e denti come ganci
lui pensa a quelle fauci
e a quante collane farci
poche remate avanti
tre scogli poco distanti
rendono tutti distratti
poi fanno iniziare i pianti
fanno saltare i patti quando gli altri
su quei s-ssi vedono infrangersi le -ssi
di una barca che sbanda altri corpi arsi
di pescatori sparsi al grido di allontanarsi
ma i venti cambiano fasi e i presenti saltano pazzi
i corsi salmastri risalendo l’onda dentro l’ombra dei fasci dei fr-ssini
uomini magri e pesci gr-ssi
leggera come una foglia
il vento nella chioma folta
raggiunge la costa opposta
arancione la giovane flotta
ma la storia racconta nelle fosse ci fosse un’altra bestia immonda
che riesce a mandare in orbita un pesce nell’acqua torbida
odisseo prende l’esca e conta fino a notte fonda
in attesa pensa che la sua lenza non sia più morbida
ma quella pretesa fu una sentenza
e la bestia orrida strinse la presa
a colpi di [?] la barca sordida
ora tutto crolla e resta sulla soglia solida
mentre la ciurma morta e raccolta nella tempesta
il ragazzo da uno sguardo a destra
il ronzio di una vespa che adesca la pianta solida
la bestia era detta infernale, chi la vuole affrontare
finisce per affondare
finisce al fondale
ma odisseo è vivo, aggrappato a un albero di fico pescato dal suolo antico e mai rigettato in mare


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