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lirik lagu barbara strozzi - sul rodano severo

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sul rodano severo
giace tronco infelice
di francia il gran scudiero
e s’al corpo non lice
tornar di ossequio pieno
all’amato parigi
con la fredd’ombra almeno
il dolente garzon segue luigi
enrico il bei, quasi annebbiato sole
delle guance vezzose
cangiò le rose in pallide viole
e di funeste brine
macchiò l’oro del crine
lividi gl’occhi son, la tocca langue
e sul latte del sen diluvia il sangue
“oh dio, per qual cagione”
par che l’ombra gli dica
“sei frettoloso andato
a dichiarar un perfido, un fellone
quel servo a te sì grato
mentre, franzese augusto
di meritar procuri
il titolo di giusto?
tu, se ‘l mio fallo di gastigo è degno
ohimè, ch’insieme insieme
dell’ invidia che freme
vittima mi sacrifichi allo sdegno
non mi chiamo innocente:
purtroppo errai, purtroppo
ho me stesso tradito
a creder all’invito
di fortuna ridente
non mi chiamo innocente:
grand’aura di favori
rea la memoria fece
di così stolti errori
un nembo dell’obblio
fu la cagion del precipizio mio
ma che dic’io? tu, sire ~ ah, chi nol vede?
tu sol, credendo troppo alla mia fede
m’hai fatto in regia corte
bersaglio dell’invidia e reo di morte
mentre al devoto collo
tu mi stendevi quel cortese braccio
allor mi davi il crollo
allor tu m’apprestavi il ferro e ‘l laccio
quando meco godevi
di trastullarti in solazzevol gioco
allor l’esca accendevi
di mine cortigiane al chiuso foco
quella palla volante
che percoteva il tuo col braccio mio
dovea pur dirmi, oh dio
mia fortuna incostante
quando meco gioivi
di seguir cervo fuggitivo, allora
l’animal innocente
dai cani lacerato
figurava il mio stato
esposto ai morsi di accanita gente
non condanno il mio re, no, d’altro errore
che di soverchio amore
di cinque macche ill~stri
notato era il mio nome
ma degli emoli miei l’insidie industri
hanno di traditrice alla mia testa
data la marca sesta
ha l’invidia voluto
che, se colpevol sono
escluso dal perdono
estinto ancora immantinente io cada;
col mio sangue ha saputo
de’ suoi trionfi imporporar la strada
nella grazia del mio re
mentre in su troppo men vo
di venir dietro al mio pie’
la fortuna si stancò
onde ho provato, ahi lasso
come dal tutto al niente è un breve passo.”
luigi, a queste note
di voce che perdon supplice chiede
timoroso si scuote
e del morto garzon la faccia vede
mentre il re col suo pianto
delle sue frette il pentimento accenna
tremò parigi e torbidossi senna


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