lirik lagu adria the reject - l'uomo di famiglia
[testo di “l’uomo di famiglia”]
[strofa]
ceno a tavola con dei rimorchi parlanti li chiamo famiglia
gli chiedo di cosa hanno fatto oggi ma non battono ciglia
mi disprezzano dentro, perché da vent’anni lavoro come uno schiavo in un ufficio per un capo sadico, colleghi apatici per dei progetti in cui non c’entro
mia moglie è diventata un barile di merda che puzza e mi disprezza
perché di vivere due ore al giorno quando gli rivolgo parola faccio tristezza
ha già separato i letti, da anni ricorda i miei difetti prima di addormentarmi
da domani separerà anche i panni
mio figlio è un piccolo anticristo che faccio schifo io
ma non i miei soldi, che sono sempre pochi anche quando glienе spillo molti
che mi ricorda spesso ogni mio vizio
li sputtana a caio e tizio
da lui solo ozio, tanto disprеzzo
il pensiero fisso di ficcarmi in un ospizio
ho anche una bella bambina, tanto carina
che fa la star su mysp~ce come sgualdrina
e con i soldi delle ripetizioni si compra la ketamina
che mi prende per il culo con le sue amiche che ogni tanto vengono a scroccare la cena, mi guardano da porche vestite da gran fiche
la sega nella vasca da bagno è il top della giornata
la p~rnografia sta nell’armadio sotto la camicia stirata
alle 10 a letto, alle 8 a lavoro
sorriso finto della collega figa che adoro
cellulare, chiamare, battere, fare, compilare, neanche ho il tempo di pensare a crepare
fine settimana, cinquemila giri con quel curioso circo di mostri in utilitaria
con i due mostri più piccoli che sbottano dietro
il carognone sudato al lato che appesta l’aria
fisso nello specchietto in ferro i primi capelli bianchi
scende una lacrima pensando ai ogni di bambino infranti
alla giovinezza sprecata tra i banchi
a mille petali bianchi
basta una goccia a far traboccare il vaso
e i due demoni dietro ridono, e non si tratta di un caso
è sera, litigata, rumore, letto
io zitto da ‘sta bassa come al solito aspetto che il sonno assopisca il buco lo tronfio di sonniferi misto al tasso alcolico
sento dal mio letto rannicchiato russare e scoreggiare la bestia
vado in sala, afferro il tagliacarte con la mano destra
sono calmo, non provo nulla, guardo l’animale in faccia
odio, ripenso a mia madre morente che piange mentre mi parla di come ero carino e innocente nella culla
afferro con il palmo della mano la testa di medusa
taglio, un secondo, una questione chiusa
calma, silenzio, sangue copioso copre lenzuola bianche
e uno spasmo post~mortem fa saltare le anche alla scrofa
esco, salgo le scale zuppo di sangue
il piccolo b~st~rdo è al pc
così preso dal suo hashish da non sentirmi
faccio rumore con la porta
si gira ma non sa che dirmi
è immobile il marmocchio
odio profondo
dice “papà!”, mi avvicino
calmo, gli schianto la punta del tagliacarte in un occhio
gliela spezzo dentro
afferro il monitor del pc mentre lo prendo calci per terra con l’intero taglierino nel cranio
poi gli schiaccio la testa a colpi di monitor finché non muore
mi alzo piano, non fa più lo strafottente adesso
incredibilmente la puttanella non sente nulla e mi viene duro pensando a come sistemare quel cesso
esco, entro in bagno e in preda al delirio mi sento bene
mi avvicino all’armadietto degli psicofarmaci della bambina
carico un’intera boccia di xanax in una siringa sola
poi vado a fare una visitina alla stanza della mia adorata figliola
e ora la scena dello stupro in testa
resto fermo all’atrio e con nelle mani l’iniezione manomessa
faccio piano, scopro le sue faccia lisce
mi inietto il siero nelle vene, lei si sveglia non capisce
quando un pugno la stordisce
spezzo l’ago nella vena
spezzo i denti a pugni a questa scema e la rigiro sulla schiena
lei sviene dieci minuti prima che il mio cazzo viene
l’ho fatto, è tutto finito
capisco cosa ho fatto, resto stordito
vuoto, non focalizzo più cosa ho in testa io
mi sento leggero come un dio, finché non ritorno lucido
benvenuto all’inferno, penso alla donna che ho sposato
sento un peso nello sterno
al figlio che non ho cresciuto che rimpiangerò in eterno
ho davanti il culo di mia figlia aperto ed io che mi siedo a terra e ci guardo fisso dentro
sento la paura divorarmi l’anima
e il pianto, un nodo in gola che mi esanima
sento la rabbia scendere dal rimorso, già mi sento circondato
e cosa più brutta, quel corpo morto rendersi conto di averlo sempre amato
sentirsi un mostro eroso solo dall’invidia
senza palle traente forza trascendente sullo strazio e dall’accidia
ultima riga, che scrivo su questa confessione
io sono un mostro come altri miliardi di persone
era il mio lavoro, il mio buon nome la mia famiglia, un vecchio di merda senza più passione
[?] e adesso rido
non perché sia divertente, ma perché ho pregato e lavorato per evitare un simile incidente
non capite il mio errore, è troppo tardi
e mentre metto la testa in forno la penso il giorno prima di sposarmi
ora che mi ammazzo venite pure a maltrattarmi
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